Trentodoc o della comunicazione autoreferenziale


Ma i promotori istituzionali del Trentodoc ci sono o ci fanno? Ma credono che per promuovere efficacemente un marchio, basti organizzare serate, anzi settimane, per happy few, fra Roma e Madrid, come stanno facendo in questi giorni (a proposito: sarebbe interessante sapere quanto costano e sarebbe utile sapere quale è il ritorno economico in termini di bottiglie vendute e di crescita di appeal), credono davvero basti fare questo, trascurando tutto il resto; per esempio la comunicazione spicciola con gli addetti ai lavori e, soprattutto, con i consumatori. Che, al giorno d’oggi, quando hanno bisogno di un’informazione accendono internet, digitano un indirizzo, cercano un contatto email e scrivono. Aspettandosi una risposta pressoché immediata, viste le caratteristiche del mezzo che stanno usando. Dico questo, con un tono piuttosto polemico e spero si capisca, perchè in questi giorni mi è capitata una cosa che mi pare la racconti lunga circa le falle del sistema di comunicazione messo in piedi per far conoscere il marchio del nostro metodo classico. Giorni fa, ho cercato di mettermi in contatto con il servizio informazioni di trentodoc, utilizzando l’indirizzo email indicato sul sito istituzionale (info@trentodoc.com). Nei giorni precedenti avevo provato più volte ad accedere alla Press Room di trentodoc (non si capisce poi perché la sezione non si chiami semplicemente sala stampa, almeno nella versione italiana della pagina). Ricerca inutile: la sezione riservata ai giornalisti continuava, e per la verità continua, ad essere fuori servizio. Avendo bisogno del materiale per lavoro, mi sono deciso a scrivere un’email, chiedendo, fra l’altro, anche qualche delucidazione circa la lista dei produttori pubblicata sul sito; nella quale non compaiono un paio di aziende che si sono aggregate recentemente. Oggi è martedì, la email la ho inviata venerdì. Un tempo ragionevole, mi pare per una risposta in posta elettronica. Risposta che, tuttavia, non è ancora arrivata. La sala stampa è ancora inattiva e l’elenco dei produttori non è stato ancora aggiornato (mancano nell’elenco Gaierhof e Cantina Rotaliana di Mezzolombardo). Ma, soprattutto, questo blog non è ancora riuscito ad avere a disposizione il materiale su cui avrebbe voluto cominciare a lavorare, per contribuire a promuovere seppure criticamente, come è nel mio stile, l’immagine del trentodoc. Informazioni utili, insomma, niente, non pare ci sia modo di ottenerne. Però per contrappeso, il sito ci informa, in bella evidenza, udite udite che a novembre cadranno bollicine su Trento e che nel frattempo la promozione del metodo classico si è spostata a Roma e a Madrid. Sarà per questo, perchè è impegnato in serate luccicanti ed elitarie nei locali più alla moda delle grandi capitali d’Europa, che chi lo dovrebbe fare, non ha ancora trovato il modo di occuparsi dell’abc della comunicazione on line. Perché, detto per inciso, al consumatore sono convinto interessi di più avere sotto mano una lista aggiornata delle etichette e dei produttori, anziché sapere che il metodo classico di Trento in questi giorni viene presentato in qualche serata di gala Madrid. Informazione gravida di autoreferenzialità, ma poco utile al consumatore. E, tutto sommato, anche al giornalista. 

Il trentodoc che non c’è, ancora per poco…


C’è una buona notizia per noi che amiamo il metodo classico di Trento. E’ in arrivo sul mercato una nuova bottiglia di TrentoDoc Noir che promette davvero di sorprendere. Le prime bottiglie, forse e lo speriamo con tutto il cuore, arriveranno per fine anno, la sboccatura di un migliaio di pezzi infatti sta avvenendo in questi giorni. Non sono autorizzato a svelare né l’etichetta né il nome del produttore. Qualcosa, però, la posso dire. Si tratta di una bottiglia rimasta sui lieviti per 18 mesi, prodotta con sole uve Pinot Nero coltivate in montagna, ad altezze quasi vertiginose per fare vino, fra gli 800 e 900 metri. Ho avuto la fortuna di partecipare, qualche giorno fa, ad una degustazione cieca di sei bottiglie preparate con sei diverse tipologie di liqueur, tutte, comunque, con concentrazioni zuccherine inferiori a 5 g/l. Tutte le bottiglie sono risultate estremamente interessanti, nonostante la permanenza sui lieviti sia stata quasi al limite (16 mesi) del protocollo; questo metodo classico in tutte le versioni, comunque molto secche, è apparso già maturo sia al naso che in bocca. Con un’altissima e ben strutturata mineralità che evoca fragranze rare e che riempie la bocca senza sbavature. Alla fine delle selezioni, tuttavia, la preferenza di tutti i cinque gli assaggiatori, che hanno testato in contemporanea, è andata per la bottiglia siglata con il numero 2. Che abbiamo poi scoperto essere anche l’unica priva zuccheri aggiuntivi. Un pas dosé perfetto, capace di dimostrare che la cura minuziosa e attenta di tutto il processo di coltivazione e di spumantizzazione, dalla campagna fino alla sboccatura, può dare risultati sensazionali. Anche grazie alle acidità naturali dell’uva coltivata a quelle altitudini. Non so cosa deciderà di fare il produttore, se proporrà questa bottiglia in formato radicalmente dosaggio zero o se preferirà addomesticarla con una liqueur leggera. Questo lo scopriremo fra qualche settimana. Ma quello che è certo è che si tratta di una bottiglia di gran pregio che si prepara a dare un contributo fondamentale all’esperienza del TrentoDoc. Fra qualche giorno vi fornirò altri dettagli interessanti: nome, etichetta, prezzo e tutto il resto. Per ora accontentatevi di queste poche anticipazioni.